Non posso
non tener conto del contesto. In questo caso:
-
Il
circolo della stampa Maria Rosaria Sessa e il liceo Fermi, organizzatori
dell’incontro;
-
Il
luogo fisico, che è un luogo di cultura;
-
L’oggetto
dell’incontro, che muove da un libro;
-
Le
persone chiamate a interloquire: l’autore del libro (che oltretutto è un amministratore, un
sindaco), la direttrice della biblioteca, giornalisti e studenti.
Certo il
sindaco si scusa per la sua assenza, ma non addurrò la scusa degli “impegni
istituzionali”. Come sono gli impegni nel lessico cerimoniale e troppo spesso
nelle cronache giornalistiche? Gli impegni – immancabilmente finiscono con
l’essere “istituzionali”. Il contesto impedisce il ricorso alle frasi fatte e
agli aggettivi autoadesivi: magari è fuori con il suo segretario di partito,
oppure ha avuto mal di pancia, oppure ha accompagnato la moglie a fare la spesa
o dal medico. Il sindaco non c’è, si scusa e mi ha delegata.
Questo libro non merita parole di circostanza.
Sono un assessore di questa giunta comunale, vale a dire che ho ricevuto una
delega – Derrida avrebbe detto un “mandato ottico” – vedo per lui, sento per
lui e oggi parlo per lui. Il concetto di delega è importante. Questo luogo che
ci accoglie è un luogo di “delegati”, di migliaia di delegati: i libri vedono,
raccontano, parlano di cose che non abbiamo visto perché ci precedono e noi
vediamo coi loro occhi. Questo libro, ad esempio, parla di un fatto,
lancinante, successo quando non ero ancora nata. In questo sono nella stessa
posizione degli studenti del Fermi. Anche il libro di Fortunato Zinni è un
delegato, si è delegato a raccontare, a consegnare alla memoria di chi non
c’era (noi) lo start di una brutta stagione politica, quella cosiddetta della
strage di stato (più avanti perderò ancora un minuto sul titolo del libro).
Come intenderne la portata? Una semplice analogia, d’atmosfera: il crollo delle
torre gemelle a New York? Eravate troppo piccoli, ma forse avete visto quella
scena o perlomeno l’avete rivista in occasione del decennale. Nel 69 la
televisione era in bianco e nero e c’erano solo due canali, ma la scena madre,
l’impatto emotivo di quell’apocalisse, è lo stesso.
Solo che non
ci fu rivendicazione (Bin Laden, etc), ma si aprì una lunghissima stagione di
depistaggi e processi contraddittori. L’autore usa una figura retorica,
l’ossimoro, per definire questa pagina della storia giudiziaria italiana, e
parla di “ingiusta ingiustizia”.
Questo
ossimoro nasce, per rimanere nel contesto della retorica, da un iperbato: il
titolo del libro. NESSUNO E’ STATO rompe l’ordine naturale della frase
attraverso un’inversione che enfatizza il secondo elemento rispetto al primo,
dando luogo ad un’anfibologia, cioè ad una costruzione che si presta ad una
doppia interpretazione: non è stato nessuno (l’assenza di un colpevole) ma
anche l’assenza dello Stato, l’idea di uno stato che stenta a palesarsi. (…)
(sabato 21
gennaio, Biblioteca nazionale di Cosenza)
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