ABC

Fiducia questo difficile alfabeto

Vertrauen, dieses schwerste ABC

Hilde Domin

venerdì 6 aprile 2012

Maschere di carnevale



E’ carnevale, ma io sono qui come persona e non come maschera.
Maschera e “persona” – attraverso una radice etrusca (phersu) – sembrano essere la stessa cosa, è la stessa parola. E la cosa ci complica non poco la faccenda, anche nel caso – nel presentarmi – volessi  levarmela.
A chi mi rimproverò, a pochi giorni dal varo della giunta municipale, di essere “una figurina sbiadita”, moglie o parente di qualche uomo importante (e proprio non è il mio caso), ricordai mestamente (ma grazie a una battutaccia di Orson Welles) le tante maschere, le tante persone che una persona mediamente è. Italiana e francese, traduttrice, docente precaria all’Unical, come tanti, con scarsissime possibilità di carriera, madre di una vispa bimbetta di sei anni, etc.
Da qualche mese ho dunque delega a occuparmi di questioni educative e scolastiche, della città a misura di bambino, della formazione del senso civico e della cittadinanza attiva. Sottolineo “delega”, che è parola nobile e pregnante. L’assessore è un delegato, riceve un mandato (Derrida lo definì “mandato ottico”, ma è anche acustico e comunque multisensoriale), da qualcun altro. Ad esempio, un sindaco.  Questa riflessione introduce una ulteriore complicazione in termini di defilé, di sovrapposizione di maschere. In pubblico, nell’agire amministrativo, sono maschera di un sindaco, parte di una giunta. Tutto ciò non mi espropria di nulla, visto il legame fiduciario, ma sto per qualcun altro in uno scivolamento metonimico che è la persona “assessore”.
La politica più in generale è centrata sulla delega. E vedete cosa succede con un parlamento di nominati buona parte dei quali non risponde né agli elettori né a chi lo ha nominato o delegato.
Sarò forse un assessore tecnico? Né tecnico, né politico, ho conosciuto il sindaco nel momento del conferimento della delega, sulla base di un curriculum che spazia nel precariato scolastico e universitario e di un suggerimento di chi mi conosce da tempo. Responsabilmente, a queste due persone non potrò far fare brutte figure.
Delegata e responsabile, dunque.
Per prima cosa ho registrato l’emergenza educativa. E non solo nelle scuole. Fare la fila è un concetto sconosciuto nei nostri umani cortili. I sacchetti fuori dai cassonetti, le cacche dei cani mai raccolte, cicche cartacce buttate dal finestrino, la strada è evidentemente terra di nessuno. O di qualcuno, che si crede un dominatore dell’universo, che impegna inutilmente gli incroci e che non fa passare nemmeno il presidente della Repubblica, che si ferma in seconda e terza fila o ti affianca per profferire quel tristemente celebre “ohi frà chiracosa tuttappò”.
Una strada tutta in salita per chi ha delega alla formazione del senso civico. Ma era solo l’aperitivo.
Uno dei primi atti che ho dovuto affrontare è stato l’accorpamento degli istituti scolastici. Si trattava di passare dagli attuali 10 istituti a 5 o 6 istituti comprensivi con una soglia minima di 1000 studenti.
Un discutibile lascito del ministro Gelmini, un provvedimento di razionalizzazione con ricadute sulle direzioni didattiche e sul personale Ata, non certo sugli alunni. Liberi di iscriversi, di essere iscritti nella scuola che meglio aggrada. Cosa non è successo! La mascherata della continuità educativa, poiché non aveva senso accorpare due istituti – per quanto vicini – di 1000 e 600 ragazzi, ha fatto sì che si raccogliessero firme di domenica in una scuola straordinariamente aperta.
Ho scoperto così l’aggressività, il gregarismo e il bullismo di un folto gruppo di genitori capitanato da un direttore didattico con qualche serio problema caratteriale.
Scenario analogo  tra gli strati più popolari: i facinorosi e gli arroganti sono presenti in tutte le classi.
C’è una scuola nelle vicinanze della palestra dei Casali, che non è una scuola, un seminterrato umido e triste per il quale l’amministrazione paga pure un canone di locazione. A pochi metri, dall’altra parte del fiume, sorge invece il plesso più bello della città. Appena restaurato, luminoso, attrezzato, bellissimo. …
Come assessorato abbiamo in questa direzione individuato alcune linee guida per affrontare un’emergenza educativa che si registra dunque a tutti i livelli, e va ben al di là del fenomeno della dispersione scolastica: cultura dell’ascolto e del riciclo, cultura dell’attesa e del senso civico, cultura dell’adozione e della donazione che corrispondono a tre blog che intendono porsi come strumento di dialogo e di confronto con il mondo della scuola, con le famiglie, con i cittadini tutti
C’è poi un quarto blog, dedicato all’emergenza educativa in senso stretto e che presenta un progetto legato all’ascolto, che ha l’ascolto come base e come fine.
Non sarà il Mozambico, la Somalia, l’Etiopia o il Bangladesh, ma il Mezzogiorno d’Italia registra una diffusa emergenza educativa. Ciò che impietosamente fotografava lo studio Ambrosetti nel 2008 ("Il sistema educativo in Italia: sei proposte per contrastare l'emergenza", Forum The European House-Ambrosetti, Villa d'Este, settembre 2008), conserva attualità e crucialità per gli operatori della scuola che si muovono in un orizzonte meridionale.
“Lo scarso rispetto delle regole di convivenza civile, l'affievolirsi della fiducia nella giustizia e nelle istituzioni, l'aggressività verso le forze dell'ordine, le difficoltà della scuola nel valorizzare le attitudini degli studenti, il disvalore spesso trasmesso dai media sono alcuni sintomi che il nostro Paese evidenzia e che fanno echeggiare l'idea di una grave emergenza educativa e formativa, contribuendo alla perdita di terreno nei confronti degli altri Paesi avanzati e di quelli emergenti”. Magra consolazione il dato sull’abbandono secondario che vede protagonista il Nord (ad esempio Lecco – dopo i due anni di superiori – registra un abbandono del 20,9% , Cosenza del 8,1%), col record negativo degli istituti professionali di Novara col 46,8 %. Pericoloso interpretare il dato calabrese sulla dispersione scolastica come incoraggiante. Se è vero che le criticità dell’evasione scolastica sono limitate alle comunità Rom, non si può prescindere dal dato regionale dell’analfabetismo mai sradicato e della disoccupazione, vero e proprio incubatore per la microcriminalità e la criminalità organizzata.
Il discrimine non sembra più essere tra regioni del Nord e del Sud ma tra le diverse aree di una stessa regione o tra i vari territori di una metropoli. Il che pone maggiormente un problema legato alle migrazioni, di multiculturalità e integrazione tra etnie, tra rigurgiti razzisti e problemi di compatibilità culturale, con una radicale interrogazione sull’aspetto qualitativo del processo educativo. Questioni di civiltà dunque, di civismo e di senso della cittadinanza, di senso della giustizia e dello Stato, di senso del dovere, di rispetto delle regole, di pregiudizi e di maleducazione. “Senza precisi punti di riferimento, - continua il rapporto dello studio Ambrosetti - molti individui si rifugiano in un esasperato individualismo, si costruiscono le proprie regole e le proprie giustificazioni morali”.
Una deriva che si somma a un crescendo di debiti formativi che – una volta risucchiati nella formazione universitaria – finisce col porre più di una perplessità sul valore legale del titolo di studio.
Per un tentativo di uscita da questa “spirale viziosa”, Tool set si pone come momento teorico-pratico interdisciplinare, come luogo di testimonianza e di appuntamento negli anni a venire.
In questa prima edizione, inevitabili le condizioni materiali come punto di partenza, una riflessione sulla fisica dell’ascolto, vale a dire sulle condizioni (dis)ergonomiche della comunicazione verbale. Stesso discorso varrebbe sull’illuminotecnica: le aule, le classi, sono forse luoghi pensati per favorire l’apprendimento? Nel migliore dei casi si bada al profilo acustico dei materiali normalmente impiegati nell’edilizia per la realizzazione di pareti esterne, pareti divisorie, finestrature, porte, soffitti, al fine di isolare l’ambiente dalle fonti di rumore esterno. Nessun riguardo per l’ascolto in classe, con aule rigorosamente parallele, piene di superfici riflettenti, costruite con materiali fonoisolanti (ad esempio un muro massiccio con intonaco liscio) ma completamente prive di supporti fonoassorbenti (ad esempio, tende, materiali porosi, fibrosi, espansi), con pochi trascurabili arredi e oggetti alle pareti, immancabilmente posizionati senza distanziatori e intercapedini d’aria.
Così i bambini gridano e alle maestre viene il mal di testa, gli adolescenti urlano e minacciano e gli insegnanti rischiano il burn out.
I bambini gridano, le aule amplificano il rumore e alle maestre viene il mal di testa.



L'ipotesi di lavoro è dunque la seguente: (passo 1) una elementare introduzione all’ingegneria acustica applicata all’edilizia scolastica; (passo 2) una pratica di riciclo creativo - che riutilizzi imballi, materiali porosi e cartoni di grande formato - finalizzata alla realizzazione di oggetti funzionali, sul modello del diffusore a resto quadratico (o di Schroeder) e dei risuonatori di Helmholtz; (passo 3) introduzione all'elaborazione audio-psico-fonologica di Alfred Tomatis.
Una volta affrontato il grado zero della questione e indicato come ripristinare un ambiente acustico accettabile, tool set estrae i grimaldelli teorici.
Muovendo dall’elaborazione di Alfred Tomatis, l’otorino che dedicò le sue ricerche ai rapporti tra orecchio e cervello, il primo che utilizzò Mozart come una sorta di equalizzazione preliminare all’ascolto e all’apprendimento, in particolare delle lingue straniere. L’assunto di base dell’autore del metodo audio-psico-fonologico è il seguente: ciascuno di noi nasce in un particolare ambiente sonoro, che condiziona il diaframma selettivo dell'udito. Si tratta di una banda uditiva propria della lingua alla quale si appartiene. Per esempio, gli inglesi parlano tra i 2.000 e i 12.000 Hz, i francesi tra gli 800 e i 1.800 Hz, gli italiani fra i 2.000 e i 4.000 Hz. Di qui la difficoltà di entrare nelle altre bande uditive. “Se la lingua che vogliamo imparare usasse i fonemi della nostra e possedesse lo stesso ritmo, non avremmo problemi”. Le ricadute sono molteplici: da una diversa interpretazione dei disturbi legati alla scolarità (le difficoltà di lettura rimandano sempre a difficoltà d’ascolto), ai disturbi posturali e dell’età evolutiva.
Su un binario parallelo le teorie e la pratica di Edwin E. Gordon, conosciute come Music Learning Theory, un modo per sviluppare l’intelligenza musicale, per crescere con la musica, a partire – con una sintomatica convergenza con Tomatis – dall’età prenatale.
E poi l’esperienza del maestro ignorante di Jacotot (giusta l’associazione con quella di Don Milani e – se vogliamo – con quella di Fernand Deligny coi bimbi autistici), le mille orchestrine venezuelane di Abreu, i maestri di strada napoletani e molto altro.

In un approccio apparentemente eterodosso e laterale, che si rivela invece scientifico e materiale.
E proprio dalle condizioni materiali dell’ascolto muove la prima edizione di toolset, con uno screening audiologico che è partito in quattro istituti primari della città, nei quartieri in cui si registrano maggiori difficoltà di apprendimento e tassi di abbandono (Spirito Santo, Via Popilia, Via De Rada e via Milelli).

(da una conversazione nella sede del dipartimento Università e Cultura di FLI, 
Cosenza 21 febbraio 2012)

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