Certo c’è la
questione dell’evaporazione del Padre.
Questa immagine, forgiata da un celebre psicanalista francese negli
anni 70, non si riferisce semplicemente alla crisi d‘identità dei padri reali
di cui si occupano più o meno recentemente la sociologia e la psicologia.
Piuttosto fa riferimento alla perdita di
centro, alla caduta dell‘Uno,
alla decapitazione del vertice Ideale -
di matrice edipica - che aveva
strutturato i legami sociali e dato un senso alla vita delle persone.
Mi appoggio
agli scritti di Massimo Recalcati e ne approfitto per ricordare la conferenza
del suo collega psicanalista Antonio Di Ciaccia, prevista all’Unical giovedì 16
alle 16.00.
Il Padre evaporato
è il Padre che garantisce al soggetto e ai legami sociali un senso e un
ordine stabilito trascendentalmente. E‘ il Padre della rassicurazione, il
Padre-fondamento, il Padre che sa
rispondere sulla verità delle cose, il
Padre della garanzia ultima. È il Padre
come tutore dell‘ordine simbolico
che Lacan ha chiamato, ben
consapevole dei suoi inevitabili echi biblico-teologici, Nome del Padre.
E’ una
questione cruciale - secondo Lacan - alla base delle psicosi, ma fuor della
clinica – per chi vive il disagio della civiltà e si occupa della scuola e dell’educazione,
sembra una buona chiave interpretativa per quel diffuso atteggiamento da
dominatori dell’universo (ohi frà chira
cosa tuttappo’, incuranti del fatto che stai creando un ingorgo), oltre che
per il bullismo dilagante (ancora di recente tre giovanotti a piazza Kennedy
hanno riempito di botte un loro coetaneo per uno sguardo di troppo).
Ma un
assessorato comunale cosa può rispetto a questioni così grandi che attraversano
i grandi dispositivi educativi: scuola, famiglia, media?
Può
ragionevolmente occuparsi di piccole cose: imparare a fare la fila, abbassare il volume (delle comunicazioni verbali come del volume dei rifiuti), sostenere
la raccolta differenziata (non sfugga il senso di “piccola palestra di
differenza”), promuovere il rispetto della strada e degli spazi pubblici, il
rispetto dei randagi (che è una buona palestra “creaturale”, non
antropocentrica, di empatia nei confronti di
una diversità di specie; con risvolti ancora più concreti se si pensa al
business dei canili lager, molto vicino alla ‘ndrangheta).
Piccole cose
che in questo primo anno di assessorato si concretizzano in due progetti:
Giovani Cittadini Praticanti e Piccoli Mafiosi Crescono.
Di cosa si
tratta? “Cittadini praticanti” è un programma d’intervento nelle scuole
superiori, che prevede incursioni, seminari e laboratori coi docenti di
filosofia, in particolare delle forze docenti del Master in interculturalità
dell’Università della Calabria. Si tratta di percorsi di cittadinanza attiva
che muovono da quella domanda fondamentale già indicata da Platone: “perché
devo obbedire alle leggi della comunità?”.
L’idea di base è che un individuo può reclamare un suo diritto in quanto
appartiene ad una comunità, e non lo reclama contro la comunità, bensì contro
quelle strutture di potere che una comunità si è data. Strutture di potere come
la ndrangheta, e anche come il clientelismo, il malaffare e la malapolitica.
“Piccoli
mafiosi crescono” parte qui quest’oggi, con le testimonianze che abbiamo
sentito, coi giornalisti e gli studiosi che vorranno trasmetterle e
amplificarle nelle scuole dei più piccoli, delle medie inferiori e forse pure
delle elementari.
Vi lascio
ricordandovi che le mostre che potrete visitare, insieme a una serie di
documentari video, sono a disposizione delle scuole che ne faranno richiesta.
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